L'obiettivo del programma è il dibattito continuo sul mondo dell’arte. Le puntate si articolano attorno a una parola chiave (oggetti, luoghi, persone) che permetta di affrontare trasversalmente la storia dell’arte partendo dall’attualità. Alcune rubriche si inseriscono nel programma: "La mostra della settimana", "Ritratto d’artista", "I quadri da vedere prima di morire".
«Questo libro si apre con la scultura di uno schiavo romano ribelle fatta da uno scultore svizzero a ridosso dei moti risorgimentali e si chiude con due opere contemporanee» scrive Alessandro Del Puppo nell’introduzione del nuovo libro da lui curato «una sul tema dell’immigrazione da parte di un artista albanese che lavora a Milano e l’altra di una giovane artista siciliana sul tema della violenza di genere. In mezzo corre la storia di una nazione, letta e interpretata attraverso il prisma delle arti visive: pittura, anzitutto, e poi scultura, fotografia e grafica». L’ambizioso percorso proposto da Del Puppo ci fa attraversare le vicende e le atmosfere di un Italia che cambia lo fa presentando l’analisi di 50 opere d’arte che hanno lasciato il segno. Voci Dipinte ha deciso di fare un viaggio in compagnia di questo libro scritto da sedici autori diversi: Arte italiana. Un percorso in cinquanta opere dal Romanticismo alla video performance (Carocci 2024). Ma quali sono gli aspetti della storia di un Paese che possono emergere attraverso l’analisi della produzione artistica?
Ospite: Alessandro Del Puppo, professore di Storia dell’arte contemporanea all’Università degli Studi di Udine. Fra le sue pubblicazioni: Modernità e nazione (Quodlibet, 2012); Egemonia e consenso (Quodlibet, 2019); Pasolini Warhol 1975 (Mimesis, 2019).
L’inserto della settimana ci porta alla Fondazione Beyeler dove è allestita la grande retrospettiva di Matisse. Ce ne parla il suo curatore, Raphael Bouvier.
«L’opera d’arte non sta mai sola, è sempre in rapporto. Per cominciare: almeno un rapporto con un’altra opera d’arte. Un’opera sola al mondo, non sarebbe neppure intesa come produzione umana, ma guardata con reverenza o come orrore».
Sono parole di Roberto Longhi di cui Einaudi ha dato alle stampe una nuova edizione della sua più famosa antologia di scritti; Da Cimabue a Morandi era stata pubblicata postuma a cura di Gianfranco Contini nel 1973, per i Meridiani Mondadori, la prestigiosa collana di letteratura italiana. Allora l’intenzione di Contini era sottolineare la grandezza di “Longhi scrittore”. Oggi l’intento è quello di evidenziare l’autonomia e l’originalità del pensiero del grande storico e critico d’arte nato ad Alba nel 1890, noto anche a livello internazionale per i suoi studi su Caravaggio e Piero della Francesca. L’occasione per tornare a parlare della figura di Longhi e della sua “strabiliante scrittura” che ha avuto un grande impatto su intere generazioni di critici e scrittori.
Ne parleremo con Cristina Acidini, Presidente della fondazione di studi di storia dell’arte Roberto Longhi di Firenze e con lo storico dell’arte e curatore Simone Soldini.
Per la mostra della settimana saremo al Museo d’arte di Mendrisio per la prima antologica dedicata a Ingeborg Lüscher in Ticino.
Per arrivarci ci sono voluti oltre 50 anni perché se ne parla fin da quando nel 1972 Palazzo Citterio venne acquisito dallo stato italiano per ospitare le opere del 20. secolo della Pinacoteca, ma l’idea di un ampliamento di Brera risale ad ancora prima.
Una delle prime a parlarne fu Fernanda Wittgens diventata nel 1947 sovraintendente della Pinacoteca - prima donna in Italia a ricoprire il ruolo di direttore di un importante museo o galleria –Nel primo dopoguerra aveva iniziato a lavorare insieme al precedente direttore Ettore Modigliani al progetto di una “grande Brera”, in cui la Pinacoteca fosse collegata alle altre istituzioni culturali del complesso come l’Accademia di Belle Arti, l’Osservatorio di Astronomia e l’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e soprattutto all’idea di farne un polo di vita per tutti i cittadini.
Ritardi, incomprensioni, ostacoli burocratici o politici e imprevisti si sono susseguiti spostando sempre più avanti la realizzazione e la concretizzazione del progetto che ha visto impegnati in momenti diversi almeno 3 studi di architettura.
Ora finalmente sarà il pubblico a potersi esprimere in prima persona sul valore di questo ampliamento di cui questa settimana Voci dipinte si occupa con l’attuale direttore generale della Pinacoteca Angelo Crespi.
Come si passa dai diavoli scuri e arcigni, ferini e mostruosi dell’alto medioevo alle fattezze umane del bellissimo angelo ribelle di Alexandre Cabanel di metà Ottocento? La raffigurazione del Diavolo ha una lunga storia che include molteplici iconografie: il Maligno si sottrae a ogni tentativo di classificazione, sfugge alle categorie: è un’entità che muta continuamente, rispecchiando i gusti e soprattutto le paure e le ossessioni delle epoche storiche. Ogni volta Lucifero, sovvertitore dell’ordine, assume una maschera diversa, impersona il nemico di turno. Una storia che prende le mosse dalle prime attestazioni dell’arte cristiana, in cui il Diavolo è relegato agli Inferi e si conclude con le rassicuranti rassicuranti sembianze degli emoticon dei moderni inferni tecnologici: un racconto avvincente racchiuso nel saggio Il Diavolo. Storia iconografica del male a cura della storica dell’arte medievale Laura Pasquini, ospite di Voci dipinte.
Se il Diavolo sovverte ogni ordine, Giovanni Pintori ha scardinato alcune regole della grafica: pioniere, visionario, è stato l’artefice dello stile Olivetti. A questa importante figura della grafica internazionale il M.A.X Museo di Chiasso dedica una ricca mostra.
Una fotografia scattata a Pisa durante la Prima guerra mondiale documenta il lungo viaggio, in fuga dai bombardamenti di Venezia, cui fu costretto un capolavoro indiscusso del Rinascimento: L’Assunta di Tiziano. Protetta da un’enorme cassa di legno, la grande pala viene trasportata su un carro trainato da buoi davanti alla stazione di Pisa. Questa è una delle tante immagini che raccontano le misure d’emergenza adottate in Italia durante le due guerre mondiali. In un contesto in cui non esistevano norme e strategie adeguate alla protezione del patrimonio culturale.
Solo nel maggio del 1954 viene firmata all’Aja la Convenzione per la tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato. Ratificata dalla Svizzera nel 1962, la Convezione resta tuttora la fonte normativa primaria per la salvaguardia dei beni culturali in tempo di guerra.
Ma qual è la sua effettiva efficacia oggi? “La tutela dei beni culturali nei conflitti armati. I 70 anni della Convenzione dell’Aja” cita il titolo dell’evento organizzato dall’Associazione storiche e storici dell’arte della Svizzera italiana per il 30 novembre, evento che ci offre lo spunto per parlare di «arte in assetto di guerra».
Ospiti: Dario Jucker, avvocato esperto del diritto dell’arte e moderatore dell’evento.
Elena Franchi, professoressa ordinaria all’Università di Trento, esperta di storia greca, antropologia e conflitti di confine.
Teresa Beracci, sociologa e articolista, autrice di una ricerca sul tema «Il patrimonio culturale nei conflitti armati».
L’inserto di questa puntata ci dà la possibilità di approfondire il tema con una visita al Museo d’arte e di storia di Ginevra dove è in corso la mostra Patrimonio in pericolo, Lou Lepori ha incontrato Béatrice Blandin, conservatrice della sezione di Archeologia del museo.
Confinata alla dimensione domestica in un ruolo apparentemente di secondo piano mentre il suo sposo va alla scoperta del mondo, Penelope è allo stesso tempo nel racconto omerico accreditata della stessa astuzia di Ulisse e quindi caratterizzata quale sua pari come compagna.
Al mito e alla raffigurazione della regina di Itaca è dedicata una grande mostra nel suggestivo scenario del Parco archeologico del Colosseo a Roma. Un’occasione per rileggerne attraverso oggetti, statue e dipinti le interpretazioni che ne sono state date nel corso dei secoli e che, anche attraverso numerose riprese letterarie e cinematografiche, conducono oggi a una figura ben più sfaccettata e complessa di quella della paziente moglie in attesa del ritorno dell’eroe.
Insieme alla storica dell’arte e scrittrice Alessandra Sarchi, che con lo studioso dell’antichità Claudio Franzoni ha curato l’allestimento della mostra, Voci dipinte si interroga sulla Penelope della classicità e su quella che si proietta nell’oggi, prima di visitare allo Spazio Pirelli HangarBicocca di Milano la nuova retrospettiva dedicata a Jean Tinguely.
In queste settimane al Kunsthaus di Zurigo si può visitare la più importante retrospettiva in Svizzera dedicata a Marina Abramović: un’esposizione che rimette in scena grazie a giovani performer reclutati per l’occasione dal museo alcune storiche performance dell’artista serba, come la celebre “Imponderabilia” del 1977 e che vi raccontiamo nell’intervista alla curatrice, Miriam Varadinis. Ma oggi non è più possibile riproporre le performance storiche nella loro forma originale, per ragioni di sicurezza e di “politicamente corretto”. Curatori e artisti scendono quindi a compromessi necessari. Ma qual è il senso di proporre una performance art che per definizione esplora i limiti in una forma addomesticata? E quale futuro ha la performance art in un mondo digitalizzato e sempre più smaterializzato? Ne parleremo con un ospite, Luigi Mojo, docente di tecniche performative all’Accademia Albertina di Belle arti di Torino e co-promotore di un festival internazionale di performance art.
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«Il patrimonio africano non può trovarsi solo nelle collezioni private e nei musei europei. Deve poter essere valorizzato a Parigi, ma anche a Dakar, Lagos, Cotonou[...]. Questa sarà una delle mie priorità. (…) Voglio che ci siano le condizioni perché il patrimonio africano torni in Africa». Queste sono alcune delle parole pronunciate dal Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron il 28 novembre 2017 in Burkina Faso davanti a 800 studenti universitari. Il suo storico discorso ha significato una svolta epocale nel difficile processo di decolonizzazione dei musei europei.
Voci Dipinte, insieme alle sue ascoltatrici e ai suoi ascoltatori, segue già da molti anni questo controverso dibattito. Ma a che punto siamo oggi?
Una mostra al Museum Rietberg di Zurigo ci consente di fare il punto della situazione e di andare a vedere da vicino come la Svizzera affronta questo tema. “In dialogo con il Benin: arte colonialismo, restituzione”, questo è il titolo della mostra che si inserisce nel più ampio contesto dell’“Iniziativa Benin Svizzera” portata avanti dal Museum Rietberg insieme ad altri musei elvetici, come il Landesmuseum di Zurigo.
Ospiti: Esther Tisa Francini, Direttrice del dipartimento per la ricerca sulla provenienza del Museum Rietberg e co-curatrice della mostra “In dialogo con il Benin - arte, colonialismo, restituzione”.
Solange Mbanefo, architetto e co-curatrice della mostra al Museum Rietberg.
Giulia Grechi, professoressa di antropologia culturale e antropologia dell’arte all’accademia di belle arti di Napoli. Autrice del libro “Decolonizzare il museo” (Mimesis).
L’inserto di questa settimana ci porta proprio dentro al Museum Rietberg insieme ad una delle co-curatrici della mostra: Michaela Oberhofer.
Prima emissione: 22 settembre 2024
Nella Bibbia, Adamo ed Eva passeggiano nel meraviglioso giardino dell’Eden, e ne vengono cacciati a causa di un frutto proibito; nel mondo classico l’origine di ogni pianta e fiore si associa a un mito; nella letteratura del Medioevo si afferma Il romanzo della rosa; nel Rinascimento Leonardo esplora con appassionata partecipazione le leggi della natura partendo proprio dai vegetali.
La storia dell’arte è punteggiata dalla presenza di alberi, fiori e frutti. E ogni singola specie botanica veicola un numero impressionante di significati allegorici che arricchiscono l’iconografia dell’opera in cui sono riprodotti e offrono spesso decisive chiavi di lettura per interpretarla.
In questa puntata Voci dipinte insieme allo storico e divulgatore d’arte Stefano Zuffi e sulla scorta del suo saggio Il giardino dipinto uscito di recente per 20ore Cultura, propone un viaggio attraverso i simboli, le credenze e i miti legati alla natura che nei secoli hanno attraversato la nostra cultura e la storia dell’arte occidentale.
«Una nuova missione museale è quella di aprire le porte a progetti che rendano possibili esperienze volte a migliorare la vita dei visitatori». Questa promettente affermazione introduce l’evento organizzato dall’USI in collaborazione con l’IBSA Foundation per il prossimo 28 ottobre. Il titolo dell’incontro formula la domanda: “Arte che cura - I musei fanno davvero stare meglio?”.
Voci Dipinte ha deciso di andare a vedere più da vicino e in anticipo alcuni degli aspetti che emergeranno durante l’evento del 28 ottobre, e di raccogliere lo spunto per parlare ancora di un tema caro alla nostra redazione: Il ruolo del museo nella contemporaneità.
Ospiti: Anna Chiara Cimoli, storica dell’arte e museologa, Cimoli insegna all’Università̀ degli studi di Bergamo e si occupa della relazione fra museologia sociale, migrazione e pratiche partecipative.
Christoph Frank, docente die Storia e Teoria dell’Arte e dell’Architettura all’Accademia di Architettura di Mendrisio
L’inserto della settimana ci porta a Ginevra, dove il Museo d’arte moderna e contemporanea, il Mamco, ha allestito una grande mostra con la collaborazione dei suoi visitatori. Il direttore del museo Lionel Bovier ne ha parlato al microfono di Lou Lepori.
Art Brut, come la definiva il suo inventore, l’artista e teorico francese Jean Dubuffet «è un’arte grezza, pura, non filtrata»: non è l’arte dei dilettanti, ma l’arte dell’istinto, dell’anima nuda, dell’espressione incontaminata che esce dai percorsi accademici, dalle convenzioni artistiche e culturali: è l’arte insomma di chi non ha frequentato scuole, ma ha imparato da sé, dai propri sogni, dalle proprie visioni. Un’arte che ispirerà nel corso della sua carriera lo stesso Dubuffet, che ne diviene anche il principale collezionista. La sua donazione di cinquemila opere nel 1971 alla città di Losanna è all’origine della Collection d’art brut, che oggi vanta una collezione di ben 70mila opere. Una importante mostra al Museo delle culture di Milano – realizzata in collaborazione con il museo losannese – ne racconta la genesi e i temi attraverso le opere di alcuni dei protagonisti dell’art brut. Per capire quanto questa arte “incontaminata” abbia contribuito ad ampliare i confini dell’arte e come lo sguardo sull’art brut sia cambiato dalla metà del Novecento a oggi, Voci dipinte ospita chi ha ideato e curato l’esposizione “Dubuffet e l’art brut. L’arte degli outsider”: Sarah Lombardi, Anic Zanzi e Baptiste Brun.
Dalle visioni degli outsider dell’art brut all’ironia visionaria e anticipatrice di Enrico Baj; al maestro della neoavanguardia italiana Palazzo Reale a Milano dedica un’ampia retrospettiva a cento anni dalla nascita che analizza con uno sguardo nuovo l’artista dei Generali e dei Meccano.
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