L'obiettivo del programma è il dibattito continuo sul mondo dell’arte. Le puntate si articolano attorno a una parola chiave (oggetti, luoghi, persone) che permetta di affrontare trasversalmente la storia dell’arte partendo dall’attualità. Alcune rubriche si inseriscono nel programma: "La mostra della settimana", "Ritratto d’artista", "I quadri da vedere prima di morire".
Da poco più di un anno Antonia Nessi è la nuova responsabile del Museo Vincenzo Vela di Ligornetto, dove è in corso l’esposizione dedicata a Spartaco Vela, la prima a cura della direttrice. Gli studi a Mendrisio e a Neuchâtel, un dottorato in storia dell’arte sulla costruzione dell’immagine di Venezia tra Sei e Settecento, una lunga esperienza come co-direttrice e in seguito come responsabile del polo arti visive del Musée d’art et d’histoire di Neuchâtel, Nessi è stata anche docente di storia dell’arte e di museologia all’Università di Neuchâtel. Voci dipinte incontra la direttrice del Museo Vela Antonia Nessi per scoprire i suoi progetti, la sua personale visione di museo, ma anche le sue passioni artistiche e i sogni nel cassetto.
Per la mostra della settimana andiamo al Castello di Novara, dove è in corso una grande mostra dedicata al paesaggio, curata da Elisabetta Chiodini che attraverso ottanta opere - fra cui alcuni capolavori - indaga l’evoluzione di questo genere pittorico, tra Piemonte e Lombardia dal primo Ottocento al primo Novecento.
Sempre più spesso capita che entrando in un museo ci si trovi di fronte a proposte di esperienze immersive grazie alla realtà virtuale o a esposizioni con opere visibili soltanto se attivate grazie a un codice QR. Le tecnologie di realtà aumentata e realtà virtuale sono nate in altri ambiti e con altri scopi, ma da qualche decennio gli artisti se ne sono appropriati per creare opere che richiedono la partecipazione attiva degli spettatori-fruitori. Grazie a queste nuove tecnologie è possibile esplorare nuovi mondi, compiere viaggi nel tempo, assumere altre identità: l’intento di queste opere ubique e immateriali è esercitare un certo attivismo politico e stimolare una riflessione critica sulla società e sul ruolo dei media. Realtà virtuale e realtà aumentata stanno vivendo oggi una nuova primavera, tornando anche al centro degli studi accademici. A Voci dipinte ospiti le ricercatrici Elisabetta Modena e Sofia Pirandello, autrici di due recenti saggi sul tema.
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Una fotografia scattata a Pisa durante la Prima guerra mondiale documenta il lungo viaggio, in fuga dai bombardamenti di Venezia, cui fu costretto un capolavoro indiscusso del Rinascimento: L’Assunta di Tiziano. Protetta da un’enorme cassa di legno, la grande pala viene trasportata su un carro trainato da buoi davanti alla stazione di Pisa. Questa è una delle tante immagini che raccontano le misure d’emergenza adottate in Italia durante le due guerre mondiali. In un contesto in cui non esistevano norme e strategie adeguate alla protezione del patrimonio culturale.
Solo nel maggio del 1954 viene firmata all’Aja la Convenzione per la tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato. Ratificata dalla Svizzera nel 1962, la Convezione resta tuttora la fonte normativa primaria per la salvaguardia dei beni culturali in tempo di guerra.
Ma qual è la sua effettiva efficacia oggi? “La tutela dei beni culturali nei conflitti armati. I 70 anni della Convenzione dell’Aja” cita il titolo dell’evento organizzato dall’Associazione storiche e storici dell’arte della Svizzera italiana per il 30 novembre, evento che ci offre lo spunto per parlare di «arte in assetto di guerra».
Ospiti: Dario Jucker, avvocato esperto del diritto dell’arte e moderatore dell’evento.
Elena Franchi, professoressa ordinaria all’Università di Trento, esperta di storia greca, antropologia e conflitti di confine.
Teresa Beracci, sociologa e articolista, autrice di una ricerca sul tema «Il patrimonio culturale nei conflitti armati».
L’inserto di questa puntata ci dà la possibilità di approfondire il tema con una visita al Museo d’arte e di storia di Ginevra dove è in corso la mostra Patrimonio in pericolo, Lou Lepori ha incontrato Béatrice Blandin, conservatrice della sezione di Archeologia del museo.
Prima emissione 24 novembre 2024
undefined«Questo libro si apre con la scultura di uno schiavo romano ribelle fatta da uno scultore svizzero a ridosso dei moti risorgimentali e si chiude con due opere contemporanee» scrive Alessandro Del Puppo nell’introduzione del nuovo libro da lui curato «una sul tema dell’immigrazione da parte di un artista albanese che lavora a Milano e l’altra di una giovane artista siciliana sul tema della violenza di genere. In mezzo corre la storia di una nazione, letta e interpretata attraverso il prisma delle arti visive: pittura, anzitutto, e poi scultura, fotografia e grafica». L’ambizioso percorso proposto da Del Puppo ci fa attraversare le vicende e le atmosfere di un Italia che cambia lo fa presentando l’analisi di 50 opere d’arte che hanno lasciato il segno. Voci Dipinte ha deciso di fare un viaggio in compagnia di questo libro scritto da sedici autori diversi: Arte italiana. Un percorso in cinquanta opere dal Romanticismo alla video performance (Carocci 2024). Ma quali sono gli aspetti della storia di un Paese che possono emergere attraverso l’analisi della produzione artistica?
Ospite: Alessandro Del Puppo, professore di Storia dell’arte contemporanea all’Università degli Studi di Udine. Fra le sue pubblicazioni: Modernità e nazione (Quodlibet, 2012); Egemonia e consenso (Quodlibet, 2019); Pasolini Warhol 1975 (Mimesis, 2019).
L’inserto della settimana ci porta alla Fondazione Beyeler dove è allestita la grande retrospettiva di Matisse. Ce ne parla il suo curatore, Raphael Bouvier.
«L’opera d’arte non sta mai sola, è sempre in rapporto. Per cominciare: almeno un rapporto con un’altra opera d’arte. Un’opera sola al mondo, non sarebbe neppure intesa come produzione umana, ma guardata con reverenza o come orrore».
Sono parole di Roberto Longhi di cui Einaudi ha dato alle stampe una nuova edizione della sua più famosa antologia di scritti; Da Cimabue a Morandi era stata pubblicata postuma a cura di Gianfranco Contini nel 1973, per i Meridiani Mondadori, la prestigiosa collana di letteratura italiana. Allora l’intenzione di Contini era sottolineare la grandezza di “Longhi scrittore”. Oggi l’intento è quello di evidenziare l’autonomia e l’originalità del pensiero del grande storico e critico d’arte nato ad Alba nel 1890, noto anche a livello internazionale per i suoi studi su Caravaggio e Piero della Francesca. L’occasione per tornare a parlare della figura di Longhi e della sua “strabiliante scrittura” che ha avuto un grande impatto su intere generazioni di critici e scrittori.
Ne parleremo con Cristina Acidini, Presidente della fondazione di studi di storia dell’arte Roberto Longhi di Firenze e con lo storico dell’arte e curatore Simone Soldini.
Per la mostra della settimana saremo al Museo d’arte di Mendrisio per la prima antologica dedicata a Ingeborg Lüscher in Ticino.
Per arrivarci ci sono voluti oltre 50 anni perché se ne parla fin da quando nel 1972 Palazzo Citterio venne acquisito dallo stato italiano per ospitare le opere del 20. secolo della Pinacoteca, ma l’idea di un ampliamento di Brera risale ad ancora prima.
Una delle prime a parlarne fu Fernanda Wittgens diventata nel 1947 sovraintendente della Pinacoteca - prima donna in Italia a ricoprire il ruolo di direttore di un importante museo o galleria –Nel primo dopoguerra aveva iniziato a lavorare insieme al precedente direttore Ettore Modigliani al progetto di una “grande Brera”, in cui la Pinacoteca fosse collegata alle altre istituzioni culturali del complesso come l’Accademia di Belle Arti, l’Osservatorio di Astronomia e l’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e soprattutto all’idea di farne un polo di vita per tutti i cittadini.
Ritardi, incomprensioni, ostacoli burocratici o politici e imprevisti si sono susseguiti spostando sempre più avanti la realizzazione e la concretizzazione del progetto che ha visto impegnati in momenti diversi almeno 3 studi di architettura.
Ora finalmente sarà il pubblico a potersi esprimere in prima persona sul valore di questo ampliamento di cui questa settimana Voci dipinte si occupa con l’attuale direttore generale della Pinacoteca Angelo Crespi.
Come si passa dai diavoli scuri e arcigni, ferini e mostruosi dell’alto medioevo alle fattezze umane del bellissimo angelo ribelle di Alexandre Cabanel di metà Ottocento? La raffigurazione del Diavolo ha una lunga storia che include molteplici iconografie: il Maligno si sottrae a ogni tentativo di classificazione, sfugge alle categorie: è un’entità che muta continuamente, rispecchiando i gusti e soprattutto le paure e le ossessioni delle epoche storiche. Ogni volta Lucifero, sovvertitore dell’ordine, assume una maschera diversa, impersona il nemico di turno. Una storia che prende le mosse dalle prime attestazioni dell’arte cristiana, in cui il Diavolo è relegato agli Inferi e si conclude con le rassicuranti rassicuranti sembianze degli emoticon dei moderni inferni tecnologici: un racconto avvincente racchiuso nel saggio Il Diavolo. Storia iconografica del male a cura della storica dell’arte medievale Laura Pasquini, ospite di Voci dipinte.
Se il Diavolo sovverte ogni ordine, Giovanni Pintori ha scardinato alcune regole della grafica: pioniere, visionario, è stato l’artefice dello stile Olivetti. A questa importante figura della grafica internazionale il M.A.X Museo di Chiasso dedica una ricca mostra.
Confinata alla dimensione domestica in un ruolo apparentemente di secondo piano mentre il suo sposo va alla scoperta del mondo, Penelope è allo stesso tempo nel racconto omerico accreditata della stessa astuzia di Ulisse e quindi caratterizzata quale sua pari come compagna.
Al mito e alla raffigurazione della regina di Itaca è dedicata una grande mostra nel suggestivo scenario del Parco archeologico del Colosseo a Roma. Un’occasione per rileggerne attraverso oggetti, statue e dipinti le interpretazioni che ne sono state date nel corso dei secoli e che, anche attraverso numerose riprese letterarie e cinematografiche, conducono oggi a una figura ben più sfaccettata e complessa di quella della paziente moglie in attesa del ritorno dell’eroe.
Insieme alla storica dell’arte e scrittrice Alessandra Sarchi, che con lo studioso dell’antichità Claudio Franzoni ha curato l’allestimento della mostra, Voci dipinte si interroga sulla Penelope della classicità e su quella che si proietta nell’oggi, prima di visitare allo Spazio Pirelli HangarBicocca di Milano la nuova retrospettiva dedicata a Jean Tinguely.
In queste settimane al Kunsthaus di Zurigo si può visitare la più importante retrospettiva in Svizzera dedicata a Marina Abramović: un’esposizione che rimette in scena grazie a giovani performer reclutati per l’occasione dal museo alcune storiche performance dell’artista serba, come la celebre “Imponderabilia” del 1977 e che vi raccontiamo nell’intervista alla curatrice, Miriam Varadinis. Ma oggi non è più possibile riproporre le performance storiche nella loro forma originale, per ragioni di sicurezza e di “politicamente corretto”. Curatori e artisti scendono quindi a compromessi necessari. Ma qual è il senso di proporre una performance art che per definizione esplora i limiti in una forma addomesticata? E quale futuro ha la performance art in un mondo digitalizzato e sempre più smaterializzato? Ne parleremo con un ospite, Luigi Mojo, docente di tecniche performative all’Accademia Albertina di Belle arti di Torino e co-promotore di un festival internazionale di performance art.
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«Il patrimonio africano non può trovarsi solo nelle collezioni private e nei musei europei. Deve poter essere valorizzato a Parigi, ma anche a Dakar, Lagos, Cotonou[...]. Questa sarà una delle mie priorità. (…) Voglio che ci siano le condizioni perché il patrimonio africano torni in Africa». Queste sono alcune delle parole pronunciate dal Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron il 28 novembre 2017 in Burkina Faso davanti a 800 studenti universitari. Il suo storico discorso ha significato una svolta epocale nel difficile processo di decolonizzazione dei musei europei.
Voci Dipinte, insieme alle sue ascoltatrici e ai suoi ascoltatori, segue già da molti anni questo controverso dibattito. Ma a che punto siamo oggi?
Una mostra al Museum Rietberg di Zurigo ci consente di fare il punto della situazione e di andare a vedere da vicino come la Svizzera affronta questo tema. “In dialogo con il Benin: arte colonialismo, restituzione”, questo è il titolo della mostra che si inserisce nel più ampio contesto dell’“Iniziativa Benin Svizzera” portata avanti dal Museum Rietberg insieme ad altri musei elvetici, come il Landesmuseum di Zurigo.
Ospiti: Esther Tisa Francini, Direttrice del dipartimento per la ricerca sulla provenienza del Museum Rietberg e co-curatrice della mostra “In dialogo con il Benin - arte, colonialismo, restituzione”.
Solange Mbanefo, architetto e co-curatrice della mostra al Museum Rietberg.
Giulia Grechi, professoressa di antropologia culturale e antropologia dell’arte all’accademia di belle arti di Napoli. Autrice del libro “Decolonizzare il museo” (Mimesis).
L’inserto di questa settimana ci porta proprio dentro al Museum Rietberg insieme ad una delle co-curatrici della mostra: Michaela Oberhofer.
Prima emissione: 22 settembre 2024
Nella Bibbia, Adamo ed Eva passeggiano nel meraviglioso giardino dell’Eden, e ne vengono cacciati a causa di un frutto proibito; nel mondo classico l’origine di ogni pianta e fiore si associa a un mito; nella letteratura del Medioevo si afferma Il romanzo della rosa; nel Rinascimento Leonardo esplora con appassionata partecipazione le leggi della natura partendo proprio dai vegetali.
La storia dell’arte è punteggiata dalla presenza di alberi, fiori e frutti. E ogni singola specie botanica veicola un numero impressionante di significati allegorici che arricchiscono l’iconografia dell’opera in cui sono riprodotti e offrono spesso decisive chiavi di lettura per interpretarla.
In questa puntata Voci dipinte insieme allo storico e divulgatore d’arte Stefano Zuffi e sulla scorta del suo saggio Il giardino dipinto uscito di recente per 20ore Cultura, propone un viaggio attraverso i simboli, le credenze e i miti legati alla natura che nei secoli hanno attraversato la nostra cultura e la storia dell’arte occidentale.
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