È un magazine di approfondimento dell’attualità politica, culturale, sociale. Interviene sulla stretta attualità di giornata, solo in casi particolari, di grande rilevanza. Dà spazio anche a tematiche di interesse pubblico o a quante vengono trascurate dai grandi media. Il taglio è storico–sociologico. I registri comprendono interviste, reportage, documentari, incontri biografici. Spazia dal locale all’internazionale, da tematiche accademiche a questioni di vita quotidiana. Presta particolare attenzione alla forma radiofonica, all’abbinamento di contenuti di sostanza con uno stile divulgativo. È il magazine di riferimento della Rete Due per réportages e documentari.
Storicamente una terra di confine tra mondi diversi, il sud della Bulgaria è oggi una frontiera chiave delle politiche di controllo e respingimento dell’Unione Europea. La militarizzazione intensiva del confine tra Grecia e Turchia ha reso questo passaggio sempre più pericoloso, costoso e difficile, deviando le rotte migratorie verso le remote foreste al confine con la Bulgaria, e trasformando quest’area in un crocevia sotterraneo per migliaia di persone ogni anno.
L’adesione parziale di Sofia all’area Schengen, avvenuta nel marzo 2024, è strettamente legata all’evoluzione delle sue misure di controllo e deportazione: su richiesta europea, in particolare di alcuni paesi come l’Austria, tentano di mantenere i confini terrestri rigidamente sigillati.
Il documentario ripercorre i sentieri di questa “ferrovia sotterranea”, una via di fuga spesso segnata da violenze e respingimenti, ma anche luogo di incontri inaspettati. Attraverso le testimonianze di ONG, persone in transito e attivisti internazionali, il racconto di un territorio di frontiera in cui agiscono diversi attori: migranti, reti di passatori, polizie, ma anche persone che non restano indifferenti.
Hanno collaborato: Nicola Di Chio, Miriam Selima Fieno, “Collettivo Rotte Balcaniche”.
Il reportage è stato prodotto grazie all’esperienza sul campo del progetto di teatro-documentario “Odissea Minore”, che debutterà il 1 aprile al Teatro Metastasio a Prato.
Un viaggio nel cuore ferito della Bosnia, da Banja Luka a Prijedor, da Srebrenica a Tuzla, luoghi dove il negazionismo sulla guerra degli anni ‘90 continua a inquinare la vita quotidiana di un paese tuttora in preda ai nazionalismi che soffiano sul fuoco dell’intolleranza. A fermarlo non è servita neanche una legge che dal 2021 proibisce la negazione del genocidio e l’esaltazione dei criminali di guerra. L’ultimo rapporto annuale del Memoriale di Srebrenica ha evidenziato un aumento dei casi proprio in seguito all’entrata in vigore della legge. Molti politici, sia in Bosnia che in Serbia, sostengono ancora che il genocidio non sia mai avvenuto usando argomenti simili a quelli di chi nega l’Olocausto o il genocidio armeno.
Un racconto attraverso le voci delle vittime e di chi, a trent’anni dalla fine della guerra, continua a impegnarsi per la verità e la riconciliazione.
La cultura è in crisi. Anzi, la nozione stessa di cultura conosce una forma di riflusso o rifiuto. E da cosa è stata sostituita? Secondo il politologo Olivier Roy da una serie sempre più asfissiante di norme. La nostra vita non è regolata dall’implicito, dal tentativo di vivere in una comunità, bensì da codici e regolamenti. Dappertutto. Si può comprendere il ricorso a norme disciplinari in determinati contesti, come quello militare o commerciale, dove le regole devono essere chiare ed esplicite, ma altrove, come spiegarlo?
Roy ragiona sull’individualismo, da lui definita “uberizzazione”, dal nome del servizio di autista che si ritiene indipendente ma in realtà inserito in un incastro di norme e marketing. E allo stesso tempo ci chiede di riflettere sulla nostra rassegnazione nel vivere in un mondo sempre meno legato all’implicito e all’ambiguità della cultura, sottomessi in una realtà segnata da norme che appiattiscono il mondo.
Siamo stati insieme a Tiziano Lanzini, vice presidente ANED Firenze e consigliere UNVS Firenze ad “esplorare“ l’Archivo degli sportivi coinvolti con la deportazione o più generalmente con la Seconda Guerra Mondiale, sono ad oggi quasi 5000, di 47 paesi e 72 discipline sportive, con 215 atleti vincitori di gare olimpiche per un totale di 295 Medaglie d’Oro.
Dal 2000 Lanzini ha accompagnato ragazzi, giovani e adulti ai campi di concentramento in oltre 70 viaggi.
E da diversi anni viene invitato a parlare di deportazione nelle scuole.
Con il passaparola degli insegnanti, e dei ragazzi l’anno scolastico scorso 2023/24 è stato per 116 volte in presenza nelle classi con gli studenti di Firenze e provincia.
Non sono lezioni, sono, come le chiama Lanzini, “chiacchierate affabulatorie” nelle quali racconta storia e storie con molti esempi di sportivi, accompagnato dalla proiezione di foto, da un’oggettistica particolare (maglie di atleti ,cimeli vari e divise di guerra) e dal coinvolgimento diretto degli studenti. Tiziano Lanzini e le sue chiacchierate affabulatorie sono state rappresentate in teatri, circoli, biblioteche e sale consiliari.
Tecnico del suono Nicola Cavina
Woke è una parola inglese che negli ultimi tempi viene sempre più utilizzata anche in Europa. Significa “sveglio” e indica il movimento con cui oggi vengono identificati i promotori delle lotte contro le discriminazioni sociali, i nemici del razzismo, quelli che si battono contro la violenza sulle donne e contro le divisioni di genere. Insieme al politicamente corretto e alla cancel culture, caratterizza il clima culturale delle società avanzate. Ma se nessuno può negare l’importanza di assicurare a tutti pari diritti e pari opportunità, cresce il numero di quelli che manifestano alcune perplessità, temendo l’instaurarsi di una nuova censura. Il politologo progressista americano Yascha Mounk ha pubblicato un libro intitolato The Identity Trap, in cui spiega come la democrazia sia minacciata dalla «trappola identitaria». Sui problemi del politically correct discutono in questa edizione di Laser Alessandro Chetta, che ha appena pubblicato Woke. I nuovi bigotti. Il politicamente corretto come religione laica, e Annalisa Ambrosio, direttrice didattica di Academy, il corso di laurea triennale in scrittura della Scuola Holden, che sta pubblicando un libro sul modificarsi dell’esperienza dell’amore.
Qual è il senso della memoria? Quale il miglior modo di ricordare una immane tragedia? I sopravvissuti all’Olocausto ci hanno messo anni per raccontare la loro esperienza. Ad un anno dal massacro del 7 ottobre, la comunità del Kibbutz Be’eri, uno dei più colpiti nella strage, si sta interrogando se e come ricordare la tragedia che è ancora in corso, dal momento che suoi membri sono ancora a Gaza come ostaggi. Ad un anno, le case sono ancora distrutte e la puzza di bruciato è viva. Come il suono delle sirene, il rumore delle esplosioni e il fumo dei bombardamenti che si vedono a pochi chilometri di distanza. Un promemoria continuo. Ha senso un museo della strage? Come si onora il ricordo delle vittime? La ferita è ancora troppo sanguinante e la comunità, una delle più progressiste, da sempre vicina anche a coloro che quella strage l’hanno compiuta, è divisa su questi temi e sparpagliata lontana dal Kibbutz. Che non sa ancora che aspetto avrà a venire.
Con le testimonianze di Nili Bar-Sinai, Danny Majzner, Alon Pauker, Avi Sefar. E le voci di Daniele Furlon, Giuseppe Picciano, Kristian Fabbri e Marianna Delle Vedove.
Sono alcuni mesi che Enzo Bianchi si è trasferito insieme ad altri “fuoriusciti” dalla Comunità di Bose in un casolare in aperta campagna ad Albiano d’Ivrea, “Casa della Madia”, dove il monaco di origini piemontesi ha fondato una nuova fraternità in cui condividere stabilmente la vita, il lavoro e la preghiera comune.
Le giornate sono scandite da ritmi “certosini”, la cura di un grande orto, le mansioni casalinghe organizzate in turni, l’accoglienza delle persone cercano ad Albiano sostegno spirituale o anche semplicemente un luogo in cu rigenerare corpo e spirito, la lectio divina ovvero la lettura e la meditazione silenziosa dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Dopo mesi non facili, Bianchi è tornato anche alla scrittura, dando alle stampe un nuovo lavoro per Einaudi intitolato Fraternità che presenta in una lunga intervista alla RSI. Elemento più trascurato dei tre coniati dalla rivoluzione francese, la fraternità è per Francesco - che del volume firma la prefazione - «resistenza alla crudeltà del mondo». Perché, dice, «da quando c’è l’umanità Polemos, il demone della guerra, è presente e si manifesta nella rivalità che giunge alla negazione, all’uccisione dell’altro come rivela il fratricidio di Abele da parte di Caino».
Prendi due scrittori. Chiedi a ciascuno di scrivere un racconto, con identiche regole di lavorazione. Stesso numero di battute, stesso genere narrativo e stessi snodi nella trama. Sarà molto interessante confrontare i risultati, anche perché uno dei due scrittori non è un umano, ma una macchina, e si chiama Intelligenza Artificiale. Questo esperimento avrà risvolti sorprendenti, che faranno riflettere in merito alle ripercussioni dell’I.A. sulla creatività umana, in particolare sulla produzione di testi letterari e sul futuro delle professioni legate al libro. Ne parleremo con Davide Morosinotto, uno degli ideatori dell’esperimento, e con Valentina Federici, la concorrente umana di questa sfida. I due racconti sono pubblicati nel volume Viaggio oltre l’ignoto (Edizioni Il Castoro).
Siete pronti a indovinare chi ha scritto cosa?
Sullo sfondo dei conflitti nello Yemen, le storie di due navi cariche di materiale pericoloso, la Safer e la Rubymar, si intrecciano e si sovrappongono.
La prima è una petroliera, priva di manutenzioni, salvata in extremis poco prima del cedimento strutturale e dello sversamento del greggio che conteneva. La seconda è un mercantile carico di fertilizzanti colpito da un missile degli Houti e affondato dopo settimane alla deriva.
Entrambi considerati vere e proprie bombe ecologiche ad orologeria, hanno rischiato e rischiano di rovinare definitivamente un habitat marino delicato e bellissimo, quello del Mar Rosso.
Le azioni intraprese per evitare la catastrofe ambientale sono qui ricostruite grazie a fatti di cronaca e documenti ufficiali, oltre al parere scientifico della biologa Beatrice Jann.
La Revoluciòn, con il suo carico di speranze per un futuro diverso e per un mondo migliore, è ormai un ricordo lontano e confuso. Il presente di chi vive a Cuba è fatto di espedienti quotidiani. Del faticoso lavoro, ripetuto ogni giorno, di rimanere a galla. Nel paese non solo manca tutto, ma interi pezzi di stato, servizi fondamentali che venivano celebrati come eccellenze mondiali (come sanità e istruzione) oggi si stanno sbriciolando, sotto gli occhi attoniti della popolazione, nell’incapacità del governo di porvi rimedio. Mancano le medicine, manca il cibo, manca l’acqua, manca la corrente. Manca tutto, dalla carta igienica alle lastre per le radiografie; ma soprattutto, si sente nell’aria, manca la speranza che le cose possano davvero cambiare.
Rete Due vi propone un viaggio a fari spenti nella notte più buia che Cuba abbia mai attraversato, dalla rivoluzione in poi. Un mosaico composto dalle voci delle persone che a Cuba oggi vivono – o meglio cercano di sopravvivere - malgrado tutto. Tra speranze disilluse, voglia di ribellarsi e paura per il proprio futuro.
Tra le voci che sentiremo c’è quella dello youtuber Alejandro, autore del canale “Literalmente Cubano” che da anni denuncia sul web le contraddizioni e le storture della Cuba di oggi; e sentiremo la voce di Yoani Maria Sánchez Cordero: giornalista, scrittrice e blogger pluripremiata a livello internazionale, residente a l’Avana, inserita nel 2008 dalla rivista Time nella lista delle 100 persone più influenti al mondo, che da anni costituisce la principale voce interna di critica del regime subendo in prima persona le conseguenze della sua attività. Sánchez Cordero è anche la co-fondatrice del sito di informazione 14ymedio.com: canale di informazione indipendente dall’interno di Cuba.
(Gli autori, come la maggior parte delle voci che animano questo documentario, hanno deciso di rimanere anonimi per le conseguenze che potrebbero subire le persone che vivono a Cuba)
La catastrofe di Chernobyl, prima, e quella di Fukushima, poi, sembravano aver messo la parola fine allo sviluppo dell’industria nucleare in Europa. Finché le cose non sono cambiate. Ciò è dovuto in larga parte alla crisi energetica conseguita all’invasione russa su larga scala dell’Ucraina che, oltre ad aver messo in discussione la dipendenza dell’Europa nei combustibili fossili, è riuscita a rendere più appetibile questa forma energetica, promossa come “pulita”.
Qui sta il paradosso. Mai prima della recente aggressione russa una centrale nucleare si era venuta a trovare così vicina alla linea del fronte e, per quanto l’opinione pubblica internazionale ne abbia parlato, è come se il pericolo che rappresenta realmente sia stato largamente sottostimato. Con Oleg Skachok, uno degli ultimi impiegati filoucraini ad abbandonare la centrale occupata di Zaporizhzhya, Olga Kosharna, una delle massime esperte di nucleare del Paese. “Laser” vuole comprendere sia i pericoli che gli addetti alla centrale, e tanti altri, corrono nel denunciare abusi e male pratiche, sia come il nucleare, oggigiorno, non sia più solo una questione di carattere securitario ed energetico. Ma, soprattutto, di ordine diplomatico e politico.
In collaborazione con Irpi Media
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