Chiudi gli occhi, torna bambino

Vanity Fair Italia

A Vanity Fair, con le celebrity ci piace (da sempre) fare dei viaggi. Nelle loro storie, passioni, amori, dolori, desideri. Qui, ogni giovedì, gli chiediamo di tornare all’infanzia, ai primi ricordi di una vita.

  • 5 minutes 3 seconds
    Raoul Bova: «E mio padre era in cielo»
    «Se tu non torni/Non tornerà neanche l'estate/E resteremo qui io e mia madre/A guardare la pioggia», cantava Miguel Bosé. Ed è un verso che sa di sospeso, di passato, di nostalgie, anche se parla al futuro. Peraltro sembra descrivere alla perfezione la diapositiva che ci regala l'ospite di oggi. È un nostro divo del cinema. Ha un fisico da nuotatore della Nazionale qual era, e due occhi da sogno, e oggi che è vicino ai 50, e ha due famiglie, una con l'ex moglie Chiara Giordano, con cui ha avuto due figli, Alessandro Leon e Francesco, e una con la compagna, Rocío Muñoz Morales, con cui ha due bambine, Luna e Sophia Bova, sulla copertina di Vanity Fair ci ha raccontato di una vita passata «in sottrazione» con l'ansia di piacere a tutti. Del pianto, della rabbia, della depressione. Il bello d'Italia è stato piccolo tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta (Cosa resterà di questi anni 80?) quando in Tv ci affascinavano Yuppidu di Adriano Celentano, La casa nella prateria, Happy Days, Goldrake e Lady Oscar, in radio andava Il triangolo di Renato Zero e Gioca Jouer di Cecchetto, si giocava a Palla avvelenata, Monopoli e Mondo, si mangiava la girella e il buondì Motta al cioccolato. Venivamo dal decennio della partecipazione civile e delle riforme, delle vittime e dei carnefici, della fine di Carosello e dell'inizio della Tv a colori, c'erano i rapimenti, le stragi e la paura. (The final countdown)
    Nato a Roma il 14 agosto 1971, figlio di Rosa e di Giuseppe, dipendente di Alitalia,

    Gioca con noi a Chiudi gli occhi, torna bambino, Raoul Bova

    «Se chiudo gli occhi e torno bambino mi viene in mente l'estate in Calabria a Roccella Ionica in un posto di mare dove c'erano le sdraio e io in braccio a mia mamma guardavo il cielo, guardavo le stelle e nella luna rivedevo il volto di mio papà, perché mi mancava molto, costretto a lavorare a Roma mentre eravamo al mare, e non vedevo l'ora arrivasse. E tuttora quando guardo la luna mi sembra di vederlo. Poi se chiudo gli occhi ricordo anche una casa di quando ero bambino: le mattonelle a forma di fiore marroni gialle e bianche, una cosa non bellissima. Mi ricordo poi l'odore del fritto che arrivava dalla cucina, perché mia madre preparava la pizza fritta napoletana o i supplì o le cotolette. Quando tornavo a casa c'era spesso questo odore».

    Un programma di Lavinia Farnese
    25 September 2019, 9:21 am
  • 5 minutes 58 seconds
    Lorella Cuccarini: «Voce di madre»
    Non è il caso, di giudicarci senza tempo. Che il tempo è un bastardo, siamo d’accordo? Ci fa svegliare ogni mattina, vivere ogni giorno e addormentare ogni sera abituandoci alla durata. La sua, la nostra. Come fosse interminabile, come non finisse mai, e non fosse invece quel che è: un orologio che a un certo punto che non sappiamo, di colpo o dandoci avvisaglie, si fermerà. Spariremo. E non c’è niente che possiamo fare per evitarlo. Per la stessa «non ragione» per cui, dalla nostra nascita in avanti, siamo qui, dalla nostra morte in poi non ci saremo più. «La verità», canta Dario Brunori, «è che ti fa paura, l’idea di scomparire, l’idea che tutto quello a cui ti aggrappi prima o poi dovrà finire».

    Cosa resterà? I ricordi. Almeno per un po’. Oggi ci racconta i suoi più lontani una donna che è «la più amata dagli italiani». E’ entrata nelle nostre case da dentro la Tv, e ci è rimasta per pomeriggi interi, ricordate? È con lei che torniamo indietro e ci fermiamo. Nel cortile di una casa, la sua, a Prenestina, alla periferia di Roma. Siamo tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta e la televisione da Pippi Calzelunghe e Candy Candy.

    John Lennon intanto pubblica Imagine, Gli Eagles Hotel California; è un agosto, e sta nascendo Raoul Bova, al cinema esce Il padrino, per strada c’è l’omicidio Calabresi, ci si emoziona per la prima telefonata da un telefono portatile, mentre sta finendo la guerra in Vietnam e viene inaugurato Gardaland, e il vaiolo è finalmente debellato, e da tutte le sale del mondo si va nello spazio, è l’inizio di Guerre Stellari.

    Nata a Roma il 10 agosto 1965, figlia di Vero, ragioniere, e di Maria, sarta..

    Gioca con noi a Chiudi gli occhi, torna bambino, Lorella Cuccarini

    «La vedo, è ancora qui davanti a me, la merenda: una fetta di pane casereccio, con su olio e zucchero. Me la preparava mia madre al ritorno da scuola, dopo le lezioni, la campanella, i cinque piani a piedi per raggiungere la porta di casa. E io l’ho ripetuta: da grande, con i miei figli piccoli. La finivo di corsa, per poi scendere giù in cortile a giocare con le amichette. A palla, con i gessi a terra, a disegnare una campana e poi a saltarci su. A volte, crescendo, ce ne stavamo lì anche solo a vivere un po’ per strada, a chiacchierare. Con lei, mia madre, che mi chiamava dalla finestra di casa, al quinto piano, appunto, e io che avevo il pensiero di farmi sempre trovare - era quello il patto - tanto che a volte facevo il giro del palazzo a grandi passi, perché non lo tradissi. Erano strutture enormi, quelle in cui abitavamo, a Prenestina. Rosa come sono spesso gli intonaci delle periferie popolari di Roma. Intorno il panettiere, il cartolaio, il chioschetto all’angolo, che vendeva fotoromanzi di seconda mano. La voce di mia madre che mi chiamava per rassicurarsi che fosse tutto a posto era calda, accogliente, pacata. Non si vorrebbe mai risalire per cena, quando sei un bambino con le mani sporche di resina. Lei la ricordo da buona sarta tutta la vita davanti alla macchina da cucire, faceva maglioni bellissimi, all’epoca andavo pazza per le Barbie e lei confezionava i vestiti per loro e per me, uguali, a misura. Col risultato che mi sentivo fighissima, proprio come gli somigliassi. Mi mettevo davanti allo specchio della mia camera, chiudevo la porta e prendevo a cantare, a ballare, improvvisando. Il mio primo pubblico sono state le mie bambole. Perché...intimidita poi smettevo, non appena qualcuno di "vero" della mia famiglia si affacciava. Su tutti, ero la cocca di mio nonno. Mi chiamava “Pollo e patatine”, ancora il mio pranzo più ambito».
    5 September 2019, 2:16 pm
  • 9 minutes 55 seconds
    Giulia Valentina, Frank Matano, Sofia Viscardi: «Quando l’estate non finiva mai»
    «C’era la luna, c’erano le stelle, c’era una nuova emozione sulla pelle…». La ricordate? «Il tempo va, passano le ore e finalmente faremo l’amore solo una volta o tutta la vita, speriamo prima che l’estate sia finita». È Alex Britti e siamo nel 1998, e con lui entriamo nei ricordi di tre ragazzi di oggi nati su Internet, tra YouTube e Instagram.
    Rispettivamente classe ‘90, ’89, ’98, professione influencer, declinazioni: modella, comico e conduttore, scrittrice. Giulia Valentina, Frank Matano e Sofia Viscardi sono stati bambini mentre intorno succedevano varie cose: erano le Notti magiche di Italia 90, facevamo i palloni con le big bubble, Silvio Berlusconi scendeva in campo, nasceva Google mentre la Playstation era la console più venduta al mondo e al cinema eravamo tutti in fila per Titanic. Portavamo, fieramente, il Barbour, facevamo collezione di schede telefoniche, intrecciavamo Scoubidou, ascoltavamo i Take That e i Backstreet Boys. Le Spice Girl. E avevamo Piccoli problemi di cuore, come il cartone che guasrdavamo. Intanto tra Britney Spears e Justin Timberlake tutto sembrava procedere a gonfie vele.

    È anche, questo, un ventennio di morti dolorose per la musica: se ne vanno Domenico Modugno, Mia Martini, Ivan Graziani, Lucio Battisti, Fabrizio De Andre. Mentre nascono gli Articolo 31 ed esplode er Piotta e c’è un tormentone su tutti che balliamo tutti, dei Las Ketchup, prima della canzone del capitano di Dj Francesco.

    In tv intanto guardiamo Un medico in famiglia con nonno Libero/Lino Banfi, innamorandoci di Lele e Alice, e sul comodino in casa abbiamo i tamagotchi, pulcini virtuali da accudire. Capita l’ 11 settembre, che travolge le certezze dell’Occidente e durante il G8 di Genova muore un giovane manifestante, Carlo Giuliani, mentre un primo gennaio ci svegliamo diversi: non c’è più la lira, è arrivato l’euro. Ai distributori di benzina chiudono le pompe della rossa e della super: è la nuova era della verde o del Diesel.


    Dicevamo puntata un po’ speciale questa con un trio di influencer guest star. Li abbiamo incontrati al Jova beach party, con l'Estate addosso, data di Rimini, ospiti di Sammontana, e quella sabbia li ha subito riportati ai tempi in cui una preparava feste di compleanno a sorelle nate in agosto, l’altro dava il primo bacio e scopriva il sesso per la prima volta con una ragazza che non riesce più a trovare, l’ultima veniva buttata al mare da un papà appassionato di kite surf e avventura.

    Giocano con noi a Chiudi gli occhi, torna bambino (in quest’ordine) Giulia Valentina, Frank Matano e Sofia Viscardi.

    Giulia Valentina

    «Se chiudo gli occhi e torno bambina penso al compleanno di mia sorella che è ad agosto e a quelle tutte le povere ragazze che hanno compleanno ad agosto e quindi non lo festeggiano con amiche ma con quelle estive, che le conoscono di meno, all’organizzazione di una festa che fosse giorno speciale per lei e penso alle passeggiate in montagna... forse sono una delle poche che pensa alla montagna e non al mare quando pensa all’estate. Quando ero piccola passavo tanto tempo in montagna es era molto divertente, come adesso con i miei cani, momenti indimenticabili forse i più belli.
    L’Estate è un momento prima del nuovo inizio: nonostante i miei 28 anni per me comincia a settembre con la scuola, quindi è il momento in cui sono più tranquilla, ho meno pensieri perché tra poco inizia tutto da capo. Quindi è un momento di calma».

    Frank Matano
    Se chiudo gli occhi più che bambino l’estate mi fa pensare ai miei 15 anni perché ho perso la verginità in spiaggia in estate a Scauri che è nel Lazio con una ragazza che si chiama Valentina e mi colpì molto perché lei era nata il 25.12. Non l’ho mai più rivista l’ho anche cercata sui social quindi questo magari è anche un appello “Cara Valentina vorrei sentirci e ricordarci di quei giorni”. Eravamo nella spiaggia dei sassolini e ho perso la verginità è ho dato anche il primo bacio, tutto ho fatto con lei... perciò Viva Valentina e viva i miei 15 anni»

    Sofia Viscardi
    «Torno bambina e mi viene in mente tantissimo la mia famiglia perché io ancora adesso da adulta continuo ad andare in vacanza con la famiglia perché ho passato con loro bellissimi momenti a volte in Barça altre in Toscana altre in giro per il mondo sulle spiagge. Mi viene in mente il kyte surf sport che papà mi ha insegnato a fare da quando ero piccola che adesso pratico meno che sono un po’ pigra. Cma il mio bellissimo rapporto con il mare e a una terapia urto che mio papà ha attuato nei miei confronti: a un anno mi buttava in acqua e mi lasciava annegare se non avessi nuotato. Ho imparato a cavarmela tra le onde e mi trovo molto a mio agio. Ho un bellissimo rapporto con il mare tanto che una volta ero a Barcellona con amiche: eravamo in spiaggia e stava tramontando il sole e ho pensato che sembra scontato e non lo è “se tutti i gg andassi a dormire in una casa davanti al mare avrei svoltato”.
    L’estate è l’estate addosso di Jovanotti, sentita appena uscita dall’orale di maturità e è momento in cui mi sono sentita più grande di tutto e il rosmarino de mio nonno che aveva piantato nel giardino della nostra casa al mare ed era diventato grande, gigante ed è una spezia che mangio sempre lì e quando cucino tocco il rosmarino e mi viene in mente il nonno e poi tantissimi giochi di carte di società sotto l’ombrellone e libro».

    Un programma di Lavinia Farnese
    30 August 2019, 2:27 pm
  • 5 minutes 15 seconds
    Irama - I baci delle bambine
    Qui possiamo confessarcelo: non sappiamo un sacco di cose, del mondo in cui siamo venuti al mondo. Perché ci siamo finiti. Che cosa ci stiamo a fare. Com'è il modo migliore di starci. Claudio Baglioni quando s'immaginava il figlio, ci ha provato, a mettere insieme tutte le cose che avrebbe avuto nella vita. Ci ha provato in quella canzone-elenco meravigliosa che s'intitola Avrai.

    Quello che è divertente ricordare è quanto eravamo già "noi" nei nostri primi tratti, quali sono stati i nostri primi trucchi, le prime astuzie. Lo sa bene l'ospite di oggi, amatissimo dal pubblico da quella volta in cui si presentò sul palco dell'Ariston nel 2016 con Cosa resterà , e poi vinse la 17esima edizione di Amici dove Maria De Filippi lo chiamava «Paranoia», perché è uno che pensa tanto, a volte pure troppo. Non è un caso che all'ultimo Festival di Sanremo ha raccontato la storia - delicata - di una Ragazza con il cuore di latta, lui. Che è stato piccolo con il nome di Filippo Maria Fanti, mentre viene clonata la pecora Dolly e il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton fa i conti con il sexgate, lo scandalo per la sua relazione sessuale con la stagista Monica Lewinsky, e impazza Forrest Gump, e l'11 settembre 2001 trema il pianeta, per l'attacco alle Torri gemelle di New York.

    Nato a Carrara il 20 dicembre 1995, mamma Patrizia e papà Marco che gli fanno amare l'Avvelenata di Francesco Guccini e le favole di Fabrizio De André, nome d'arte che vuol dire "ritmo" in malese e all'orecchio una piuma, simbolo-ambizione di leggerezza, gioca con noi a Chiudi gli occhi, torna bambino, Irama.

    «Chiudo gli occhi torno bambino e mi ricordo che magari non è il pensiero più profondo ma mi diverte molto mi ricordo che giocavo all'asilo, a Monza, e giocavo alle superchicche con le bambine e io non ricordo tutti i ruoli però facevo il cattivo e morivo ogni volta e dicevo alle bambine che per farmi rivivere dovevano baciarmi quindi queste bambine salivano sul castello a darmi i baci e io continuavo a morire per avere i baci di queste bambine: è un ricordo molto bello d'infanzia, devo dire».

    Un programma di Lavinia Farnese.
    21 August 2019, 10:29 am
  • 8 minutes 10 seconds
    Vittoria Puccini - Profumo di ragù
    Grace Paley è stata una scrittrice e poetessa americana che - oltre ad avere concepito titoli bellissimi per le sue creature (L'importanza di non capire tutto, Più tardi nel pomeriggio, Piccoli contrattempi del vivere, Fedeltà, Enormi cambiamenti all'ultimo momento) in pochi versi è riuscita a raccontare con parole esatte quanto crescere sempre significhi anche riempirsi di vuoti e mancanze. Sono pochi versi i suoi, caldi. Fanno: «Un giorno stavo ascoltando la radio. Sentii una canzone: Oh, I long to see my mother in the doorway. Dio mio! dissi, la capisco. Tante volte ho desiderato vedere mia madre sulla soglia». Che in fondo è quello che cantavano i New Trolls in Quella carezza della sera.

    Insomma, ne sappiamo qualcosa tutti, dai, e con noi condivide quelle sensazioni anche una delle attrici che più ci fa fieri d'averla. È entrata nelle nostre case ragazza dalla Tv, con Elisa di Rivombrosa (era il 2003 e fu consacrazione), e da allora non se n'è più andata. Dai cinema, dai teatri, dai monologhi, dai giornali. Dopo Tutto l'amore che c'è per Sergio Rubini, fa Baciami ancora per Gabriele Muccino e Tutta colpa di Freud per Paolo Genovese, diventa Anna Karenina e Oriana Fallaci. Ma qui, oggi, saltiamo tutto questo, con lei, e riavvolgiamo il nastro fino all'infanzia. Erano tempi, quelli, la fine degli Ottanta e gli inizi dei Novanta, in cui in discoteca si aspettavano i lenti, per provarci, quel «Tu non sei sola» di Michael Jackson, si portavano poi le spalline, a Natale mettevamo su il vinile di Last Christmas che era una canzone tristissima, e ci riprendevamo allora poi i colori con le sigle dei cartoni di Cristina d'Avena.

    Nata a Firenze il 18 novembre 1981, papà avvocato, professore universitario di Diritto pubblico, e mamma insegnante elementare «amata sopra ogni cosa», che la richiamava per pranzo mentre lei si attardava in giardino, con in braccio un coniglio di pezza che poi passerà alla figlia, Elena, gioca con noi a Chiudi gli occhi, torna bambino, Vittoria Puccini.

    «Se chiudo gli occhi e torno bambina, prima di vedere qualcosa sento - nitido, forte, qui - un profumo. Ed è il profumo della cucina di mia madre. Mia madre che ora non c’è più e che allora, nonostante lavorasse, si occupava di noi, e cucinava tanto, per noi, e amava starsene lì, in tutta la sua bellezza, a guardarci giocare da quella cucina aperta che dava sul salone, e quando cucinava il suo profumo misto a quello del suo ragù si espandeva come una luce per tutta la casa di Firenze. Era una costruita da mio nonno. La casa dove sono nata e cresciuta.
    E poi... vedo il mestolo. Il mestolo che usava. È un mestolo di legno, che poi abbiamo conservato, ce l’ha mio fratello, ha un taglio nella parte centrale, ma funziona ancora benone, e ogni volta che lo ritocco torno lì. A lui, che gira in continuazione nel sugo, alle mani di mia madre che a forza di girarlo in continuazione nel sugo se l’è consumate, a noi che la osserviamo a metà tra attesa e contemplazione, e poi corriamo nel giardino che è una distesa di ulivi, tra le colline verdi e la città vicina, in mezzo ai versi degli uccellini. È ancora quello, il mio posto del cuore. Sono ancora loro, le mura che mi accolgono, mi coccolano, mi ridanno equilibrio, in momenti faticosi e stressanti. Sono state testimoni di tante vite, amori, storie diverse, quelle mura, e quando torno a chiedere loro di abbracciarmi, mi sembra ancora tanto grande, quella casa lì, ma non per questo dispersiva: è ancora capace di proteggermi. Con me che torno lì tornano le risate di ieri, che ci facevamo davanti alla Tv di Renzo Arbore e Nino Frassica, i pomeriggi interi all’aria aperta, a bagnarci - vestiti o nudi - con lo spruzzino che annaffia l’erba, e quel gioco bellissimo in cui vinceva solo uno di noi. Chi trovava, tra i fili d’erba tutti simili e nessuno uguale, il fiore con più colori dentro. Ma che meraviglia».

    Un programma di Lavinia Farnese
    7 August 2019, 6:00 pm
  • 4 minutes 8 seconds
    Mika - Tutti quei colori
    Mika: «Tutti quei colori»

    Roberto Vecchioni, che professore lo è stato oltre che di mestiere, per la vita, anche di certi ingranaggi personali che ci stanno dentro, sintetizza il passato così: «Chiudere gli occhi e vedere tutti i colori del buio» (https://www.youtube.com/watch?v=0jREi6l51dU).

    In effetti quando mai a guardare indietro ci ricordiamo in bianco e nero? Anche quando i momenti non sono stati facili, o splendenti, c'è come una luce che li avvolge proprio perché non ci appartengono più se non in un tempo che diventa interiore.

    L'ospite di oggi è una popstar internazionale che è statA piccolA tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta, e che ha dovuto attraversare la porta stretta del bullismo, a scuola. Racconterà ormai adulto: «Vestivo bizzarro, ero dislessico, e molto timido: mi tiravano lattine di Coca Cola e altre cose dietro la schiena davanti a tutti. Sono sempre sopravvissuto grazie alle mie fantasie», per poi chiudere: «Io credo in una legge: la bellezza si provoca con la bellezza».

    In Kids canta «I bambini stanno giocando al sole, pensano che la loro vita sia appena iniziata» (https://www.youtube.com/watch?v=S4zFrKg8E_E) ma voi, noi, tutti lo conosciamo soprattutto per questa Grace Kelly (https://www.youtube.com/watch?v=EaEPCsQ4608), e lo ringraziamo per ricordarci che We are golden, Siamo d'oro (https://www.youtube.com/watch?v=hEhutIEUq8k).

    Nato a Beirut il 18 agosto 1983, terzo di cinque fratelli con mamma libanese che ogni volta che le cose si mettevano male accendeva la radio - ed erano balli e salti come fossero prove di un'opera lirica - e papà americano che a un certo punto decide che meglio fuggire dalla guerra civile trovando casa a Parigi, e poi a Londra, gioca con noi a Chiudi gli occhi, torna bambino (anche se poco è stato il tempo che abbiamo avuto, dietro le quinte del concerto di Radio Italia), Mika.

    «Se io chiudo i miei occhi per immaginare che sono bambino ancora una volta è cibo, l'unica cosa che vedo davanti a me è cibo, cibo libanese di tutti i colori, con i pomodori, con l'hummus, con i tabbouleh, con il pollo arrosto, con i kafta, capite che non ho mangiato da stamattina?».
    31 July 2019, 3:38 pm
  • 6 minutes 5 seconds
    Giusy Ferreri - We are the champions
    Vi capita mai di ripensare a quanti eravamo? Quanti eravamo ad aspettare la mezzanotte la vigilia di Natale, lì intorno al tavolo agghindato a festa. Quanti eravamo d’estate. D’estate sotto l’ombrellone, quando dovevano passare più di tre ore dal pranzo, prima di potere fare il bagno. Un’altra storia che l’infanzia ci insegna e ci lascia addosso è quella di un tempo dilatato, che poi d’improvviso mostra il suo restringimento quando ci si inizia a rendere conto che niente, proprio niente di quello che avevamo immaginato per sempre potrà esserlo davvero.

    Che, insomma, come fa dire Ferzan Ozpetek a Luca Argentero in Saturno Contro facciamocene una ragione, «per sempre non esiste». Di cosa sto parlando? Da piccoli tutto ci sembra, è, grande e infinito, e tanti ci appaiono i grandi, tra genitori, nonni, zii, fratelli, cugini, amici vari, anche dove le famiglie sono state meno numerose.

    Ce lo racconta bene il ricordo dell’ospite di oggi, che è la donna – d’estate – di Amore e capoeira, Roma-Bangkok e Jambo e d’inverno, sul palco di Sanremo, de Il mare immenso, Ti porto a cena con me e Fa talmente male, e che – pensate – è stata la prima cantante lanciata da un talent show italiano, X Factor, era il 2008, ad aver venduto più copie nel mondo, e detiene il record per essere l’artista rimasta più di 47 settimane alla numero 1 della classifica dei singoli (Madonna, per intenderci, lì in cima ha resistito 38 settimane).

    Lei è stata piccola negli anni Ottanta, mentre nella cattedrale di Saint Paul a Londra si sposano Carlo e Diana, e in un incidente d’auto a Monaco muore Grace Kelly e a Roma dopo l’attentato in piazza San Pietro a papa Giovanni Paolo II scompare Emanuela Orlandi, e a Bologna esplode la stazione, e a New York quattro colpi di revolver uccidono John Lennon, mentre guardiamo Ritorno al futuro, per le strade nelle cabine telefoniche le chiamate vanno a gettoni, a casa abbiamo i Lego, Monopoli, L’Allegro Chirurgo, Indovina Chi?, e vanno per la maggiore in cortile e a scuola Ruba bandiera, Nascondino, Strega comanda colore, mentre in Sicilia il mafioso Tommaso Buscetta si trasforma da esponente di massimo livello dentro Cosa Nostra a collaboratore di giustizia durante le inchieste coordinate dal magistrato Giovanni Falcone.

    Nata proprio a Palermo il 18 aprile 1979, genitori, Alessandro e Teresa, con cui dal sud si trasferisce ad Abbiategrasso, Milano, dove – prima di X Factor e dei tormentoni e del successo- faceva la cassiera al supermercato, gioca con noi a Chiudi gli Occhi, torna bambino, Giusy Ferreri.

    «Ma gli occhi non li chiudo realmente perché siamo a Palermo, la città dove sono nata, e dove i ricordi sono più vivi che mai: quando ero bambina e trascorrevo lunghussime estati qui con i miei nonni, ed è tanta gioia di essere qui, oggi. Ci ritrovavamo un po’ tutti i parenti insieme, tutti i cugini e le cugine d’estate intorno alla nonna, e fuori dalla casa c’era sempre un camion parcheggiato, e nonostante fossimo piccoli – avevamo dagli 8 agli 11 anni – facevamo esibizioni su questo camion. Io facevo la presentatrici la cantante, tutto. Ognuno cantava le canzoni che voleva: si passava da Eros Ramazzotti ai Queen alle canzoni napoletane di certi cuginetti. C’era un mix, e ognuno faceva quello che voleva. We are the champions».

    Un programma di Lavinia Farnese.
    24 July 2019, 6:00 pm
  • 10 minutes 58 seconds
    Tommaso Paradiso - Felicità puttana
    Ma voi ve la ricordate, com’era l’estate quando era infinita, e, come cantava Gino Paoli, il tempo era «dei giorni che passano pigri e lasciano in bocca il gusto del sale», la ricordate? Che facevamo le follie, e l’incoscienza era beata, e la pelle si abbronzava facilmente, e non temevamo altezze per i tuffi, profondità per le capriole in acqua, erano nostri i cieli e le notti, i fili d’erba e le prime scoperte.

    Non c’era ancora «Felicità puttana», eppure il nostro ospite di oggi, il leader dei TheGiornalisti già la provava. Siamo tra la fine degli Anni Ottanta e gli inizi degli Anni Novanta, nell’Italia dei Mondiali (insert Notti magiche), degli attentati a Falcone e Borsellino, dello scandalo di Mani Pulite, dell’ascesa di Silvio Berlusconi, mentre negli Stati Uniti si passa da George Bush a Bill Clinton e dall’Inghilterra parte l’incubo della Mucca Pazza, ma anche le canzoni degli Oasis.

    Non lontano dal disastro di Chernobyl, nelle case, intanto, regna Super Mario Bros, mentre cresce il magnetismo della Tv commerciale sui ragazzini, che seguono anche le serie Beverly Hills 90210, i Simpson.

    Ayrton Senna ancora corre e ancora vince, prima di morire a Imola nel 1994, il Muro di Berlino è caduto, la guerra fredda finita. Nelle librerie spopola Il nome della Rosa, l’Insostenibile Leggerezza dell’Essere. E noi balliamo, balliamo davanti a Thriller di Michael Jackson e ci spaventiamo al cinema per horror come Shining e la Casa, e restiamo a bocca aperta davanti a futuri classici come La Sirenetta, La Storia Infinita, Ghostbusters, Chi ha incastrato Roger Rabbit, Jurassic Park.

    Freddie Mercury muore di Aids, Vasco Rossi riempie per la prima volta di musica uno stadio, Laura Pausini vince le nuove Proposte di Sanremo con La Solitudine. Sulle passerelle della moda, sfilano intanto Claudia Schiffer e Naomi Campbell.

    Nato a Roma il 25 giugno 1983, mamma che ha dovuto fargli da madre e da padre, e che su tutto gli ha insegnato «l’educazione e il rispetto per gli altri»,

    gioca con noi a «Chiudi gli Occhi, torna bambino», Tommaso Paradiso.

    «Allora...mi potrei ricordare sicuramente di Fregene. Con la chiusura delle scuole a giugno, ed essendo ancora piccoli, funzionava così: i genitori non avevano ancora finito di lavorare, così si prendeva una località vicino Roma (ci si può arrivare in 20 minuti), e tua madre può andare a lavoro la mattina e tornare la sera. Affittammo le villette, erano carine, ne abbiamo cambiate parecchie. Una volta ce n’è stata una con una grande quercia dentro, dove mi arrampicavo. Sapevo salire su, non riuscivo a tornare giù. Ogni tanto ho avuto bisogno di aiuto per scendere, piano piano ho fatto poi pratica. C’erano tutti i cuginetti, eravamo disciplinati ma discoli, da ragazzini facevamo le cose per farci del male, quei giochi pericolosi. Eravamo in fissa con l’arrampicarci ovunque, con i tuffi azzardati. Eravamo un po’ degli stuntman, e poi a casa avevamo le nonne che ci facevano trovare la pizza bianca con i fichi dentro, una cosa tipicamente romana.
    La mattina, invece di andare al mare, restavamo a letto ci vedevamo MacGiver Super Vicky, giocavamo a Sega Master System, una delle prime console. Il gioco con cui stavamo più in fissa era “Le olimpiadi”. Ci consumavamo le dita su questi tasti per lanciare il giavellotto veloce, poi andavamo allo stabilimento. Se stavamo a Fregene nord, andavamo al Miraggio. Se invece stavamo a sud, andavamo al Tirreno o al Capri, ci divertivamo. Ricordo che in un’estate intera avevamo collezionato una scatola intera di pistolini delle ruote delle gomme delle biciclette, quelle con cui devi chiudere la camera d’aria per gonfiarle. Mi ricordo che spesso dormivamo insieme, e scorrevamo le prime cose del sesso, da piccoli, e ci sentivamo degli dei, alle elementari sembrava una cosa super-hot, ma erano semplicemente queste tv private che a mezzanotte mandavano in onda queste ragazze con i culi di fuori che dicevano “chiama questo numero” e ci sembrava di toccare il paradiso. Infine andavamo sempre a prendere il gelato, la sera, quasi sempre, e questa gelateria c’era un juke-box che funzionava benissimo, e mettevamo sempre Elton John, quella canzone tutta piano che si chiama Song for guy. Una sera poi è venuto giù un acquazzone incredibile, tremendo, usavamo la pioggia come sciolina perché quando andava sul cotto del Miraggio prendevamo la rincorsa e scivolavamo di pancia e ci facevamo anche 15/16 metri. Ricordo che una volta è entrato un adulto, e fa: “Sono vostre, le gemelle?” Sembravamo delle ragazzine, da piccoline, per via dei capelli lunghi, sembravamo, e invece no, eravamo dei maschietti. Poi che ti posso dire... questi erano gli stati prima che poi si facesse il viaggio, quando genitori finivano di lavorare, si partiva. Sono andata anche da solo, ai campi basket, dove tutti soffrivano della nostalgia di casa e io invece no, stavo molto bene, socializzavo con i bambini degli altri Paesi, poi purtroppo si cresce, succede questa piccola cosa, e quando si cresce mi è rimasta molto un lato fanciullesco che farei sempre quelle cose un po’ da stunt-man, questa vena per cui con le biciclette facevamo delle virate assurde, prendevamo degli angoli ciechi senza vedere se passavano o meno le macchine. Spesso ci sfracellavamo, anche un po’ apposta, sui cancelli, andavamo sui tetti degli stabilimenti, che erano alti, e ci arrampicavamo sulle cabine, e ci buttavamo a volo d’angelo sulla spiaggia. Stavo proprio bene, e anche adesso, quando sto al mare, cerco sempre uno scoglio alto da cui lanciarmi, lo cerco come un puntatore, cerco la sensazione di vuoto. Poi bisogna anche saper cadere.
    17 July 2019, 12:20 pm
  • 6 minutes 39 seconds
    Paola Turci - Quel compagno di scuola
    Non so se avete mai ascoltato quel tratto di canzone di Antonello Venditti che tornando indietro al liceo fa: «Ma Paolo e Francesca, quelli io me li ricordo bene perché, ditemi, chi non si è mai innamorato di quella del primo banco, la più carina, la più cretina, cretino tu, che rideva sempre proprio quando il tuo amore aveva le stesse parole, gli stessi respiri del libro che leggevi di nascosto sotto il banco». Ora: Paolo e Francesca ce li ricordiamo bene tutti. Amanti che ardono nell’Inferno, nella Divina commedia di Dante: «Amor, ch’a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte, / che, come vedi, ancor non m'abbandona».

    Qui, oggi, una donna che quando imbraccia la chitarra non ce n’è per nessuno, ci porta con lei sui suoi, di banchi di scuola, e in quegli anni Settanta di piombo e terrorismo. Intorno ci sono le Brigate Rosse, Giulio Andreotti diventa per la prima volta presidente del Consiglio, nelle case va il tg con il caso Moro, in piazza San Pietro scroscia l’applauso per l’insediamento di papa Wojtyla in Vaticano: «Se mi sbaglio mi corriggerete».

    I Beatles sono al loro ultimo album insieme, “Let it be”, i Queen al loro primo, esce “The dark side of the moon” dei Pink Floyd, viene fondata la Apple, Mia Martini canta alla Bussola in Versilia, la gente tira l’alba nelle discoteche - è “La febbre del sabato sera” - e quando non balla inizia ad avere nelle cuffie quest’oggetto nuovo che si chiama walkman.

    Nata a Roma il 12 settembre 1964, papà supereroe di cui ricorda la mano che stringeva la sua, nell’attraversare la strada, e mamma che cantava Mina davanti a un jukebox,

    Gioca con noi a «Chiudi gli occhi, torna bambino», Paola Turci.

    Un programma di Lavinia Farnese.
    10 July 2019, 1:39 pm
  • 5 minutes 33 seconds
    Piero Angela - L'origine di una passione
    L’infanzia è un acquerello fertile in cui spesso nascono le nostre passioni, quelle che in noi metteranno le radici più profonde a sviluppo futuro, quelle che non potremo proprio esimerci dal seguire, dall’annaffiare, dal coltivare, quelle che, come in questo caso, metteranno ogni mattino foglie nuove da nuovi rami e fiori che si faranno frutti e diventeranno un lavoro, il nostro che ci definirà, per sempre.

    Lontani, lontanissimi, in quegli anni Trenta in cui in cielo scoprivano l’esistenza di Plutone e in uno scantinato veniva prodotta la prima pellicola in Technicolor, in quegli anni Trenta in cui Hitler diventava cancelliere tedesco, e in America c’è la Grande Depressione, e in un cinema di Atlanta viene presentato in anteprima mondiale Via Col Vento, così lontano ci porta un uomo che almeno una volta tutti abbiamo amato perché è stato capace di spiegarci – con Superquark in televisione, nei suoi libri – storie complessissime – come l’origine dell’universo, le particelle sub-nucleari, l’evoluzione dell’umanità – con uno sguardo così semplice da confondersi con il nostro.

    Nato a Torino il 22 dicembre 1928, papà medico psichiatra antifascista che durante la Seconda Guerra Mondiale salvò tanti ebrei dai lager insegnandogli a fingersi malati, anche pazzi, cosa importa, così da poterli nascondere nella sua clinica, e mamma che invece «voleva a tutti i costi che studiasse musica», oggi ha un asteroide intestato a suo nome.

    Gioca con noi a Chiudi gli occhi, torna bambino, Piero Angela.

    «Sono stato un bambino molto educato, non ribelle, disciplinato: a scuola andavo bene e se rivedo la mia infanzia è stata un’infanzia semplice, normale, non come tanti scrittori che raccontano dei loro tormenti di ieri che li perseguitano poi per tutta la vita. I miei ricordi sono legati al fare i compiti, alle lezioni, all’essere ubbidiente. A quell’epoca eravamo molto solitari, non c’era niente di quello che c’è oggi, neanche la tv, a dar spettacolo era la radio, si giocava poco, non si usciva mai, men che meno la sera, gli amici venivano a casa. Avevo un padre all’antica, poi, quando sono nato aveva già 54 anni, faceva il medico: la sera andava a letto alle 9 per alzarsi alle 6 del mattino ed era un’età, la mia, in cui si aspettava di crescere, e man mano venivano le cose, banali. Ricordo i pochi giocattoli, due l’anno, uno a Natale e uno al compleanno. Ricordo il Meccano sul quale mi divertivo molto. Il cavallo a dondolo, la divisa del corazziere, insieme al cavallo a dondolo. Erano questi gli oggetti del mio tempo. Poi un giorno i miei mi hanno regalato l’Enciclopedia dei ragazzi. Dieci grandi volumi, dentro un mobiletto con le porte scorrevoli, dove c’era il libro dei perché: il più usurato, quello che andavo a leggere di più, lì è nata la curiosità di sapere, di informarmi. E poi con un’insegnante delle Elementari, che portava in classe esperimenti di fisica sull’elettricità, l’elettrolisi, sulla crescita delle piante, tutte cose che mi hanno lasciato un segno. Se chiudo gli occhi e torno bambino vedo questo».

    Un programma di Lavinia Farnese
    3 July 2019, 6:00 pm
  • 4 minutes
    Dentro il tempo perduto delle celebrity
    Conoscete qualcosa che resta addosso più dell’infanzia? È il territorio che siamo stati e che per tutta la vita ci portiamo dietro, e dentro.
    A volte ormai adulti ci fa forti, ancora capaci di stupore. Altre ci manda in rovina. E comunque… non c’è scampo. Restiamo, siamo tanto anche quel bambino che eravamo.
    E così, se chiudiamo gli occhi e forziamo la memoria al primo ricordo che abbiamo di noi, eccoci in un lampo di nuovo e come per miracolo su quel bagnasciuga a sentire freddo, usciti dall'acqua, con nostra madre che ci corre incontro, verso il mare, l'asciugamano in mano, il suo caldo che, finalmente, ci avvolge.
    Eccoci a finire i pomeriggi tirando calci al pallone contro una porta malmessa, su un campetto di polvere e sole, nel tramonto qualunque di una periferia.
    Eccoci nell’odore buono del sugo del pranzo della domenica che si fa insistente, e i nonni ci chiamano a tavola, e noi sbuffiamo in quella luce che non lo sappiamo ancora, quanto non tornerà.
    Eccoci nella nostra innocenza presunta in una stanza grandissima, che oggi ci appare invece così piccola da non sembrare più neanche lei, se non fossimo davvero certi che era proprio lei.
    Questo che faremo insieme è un viaggio. Un viaggio in quel passato, l’unico, in cui sappiamo ritrovarci sempre. Un viaggio alla ricerca del tempo perduto, di come eravamo allora, per fissarci, per far sì che quella parte di noi così lontana e così presente non scompaia, ci parli ci insegni ci accompagni ancora.
    Succederà così che nelle puntate che verranno ci abbasseremo piegandoci sulle nostre ginocchia nella cameretta di Piero Angela, il giorno degli anni Trenta in cui i genitori gli regalarono L’enciclopedia dei ragazzi e lui cominciò a far notte sul Libro dei Perché, a essere già, in fondo, l’embrione di quello che ancora oggi, passati i 90, è.
    Poi correremo forte, ci verrà il fiatone dietro Lorella Cuccarini ragazzina, ci sporcheremo con lei in cortile prima che venga richiamata su per i compiti e la merenda - pane, olio e zucchero -. E andremo fuori, fuori ai cancelli della scuola di Paola Turci bambina - c’è la ghiaia bianca come i vestiti delle suore, ci sono gli zaini e c’è un gran vociare ma soprattutto c’è un bimbo, che le prende gli occhi, che poi sono sempre quelli i primi a partire, mossi da una fantasia segreta, e dopo, solo dopo li seguono le mani, l’arretrare o l’avvicinarsi, gioco e ti bacio, o niente, vado via.
    Questo significherà anche come salire - sempre insieme - su una macchina del tempo, e finire in tante piccole scene degli anni 30’, 40’, 50, e poi ancora ’60, '70, '80, '90, e in tutto quel che hanno voluto dire. Creare - sempre insieme - un archivio (collettivo) della memoria, la nostra, di uomini. Che abbiamo questa grande fortuna. Nell’essere capaci di pensiero, di ricordo. E di parole. Soprattutto, di parole. Che colorano il silenzio. Gli danno voce.

    Un programma di Lavinia Farnese.
    26 June 2019, 3:36 pm
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