Dall'Intelligenza artificiale alla blockchain, dai nuovi materiali alle tecnologie per la sostenibilità, dalle nano-scienze alla robotica, dalla bioingegneria allo spazio: l'innovazione è protagonista a Smart City, ogni giorno, con una nuova tecnologia raccontata da personalità del mondo della ricerca, delle imprese e delle start-up.
Cos’hanno in comune i microprocessori di un datacenter con le mele e lo spumante? In comune hanno una spiccata preferenza per il climi freschi. E in Trentino, dove da anni si utilizzano vecchie miniere come ambienti ipogei per conservare le mele o fermentare il vino, hanno pensato che anche i datacenter possono trovare spazio in questi luoghi i quali, oltre a condizioni termiche favorevoli, offrono una naturale protezione da interferenze elettromagnetiche e minacce idrogeologiche e fisiche. Nello specifico caso, parliamo di una barriera costituita da 90 milioni di metri cubi di roccia dolomia. Siamo in Val di Non, dove, grazie a una legge che in Trentino permette di derogare alla regola del massimo sfruttamento minerario per realizzare ambienti ipogei ad hoc, sorgerà Intacture, il primo datacenter in Europa all’interno di una miniera attiva. Ne parliamo con Roberto Loro, consigliere d'amministrazione di Trentino DataMine.
Messo a punto all’Università di Pisa un chip in silicio, capace di convertire il calore in energia elettrica con un'efficienza mai raggiunta prima. Il calore disperso da miriadi di apparati tecnologici, dai tubi di scappamento delle auto ai data-center, rappresenta un immenso bacino di energia che il mondo della ricerca tenta da tempo di trovare il modo di sfruttare. Tra gli approcci più studiati c’è tutta una famiglia di tecnologie dette termoelettriche, dispositivi a stato solido, senza componenti in movimento, capaci di trasformare direttamente il calore in energia elettrica, un po’ come i pannelli fotovoltaici fanno con la luce. Finora hanno avuto scarso successo a causa della bassa efficienza e del costo troppo elevato, ma il lavoro dei ricercatori pisani, pubblicato sulla rivista Small, rappresenta una novità. Ce ne parla Giovanni Pennelli, professore di Elettronica al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa.
Continuiamo a parlare di micro macchine, cioè sistemi meccanici di dimensioni così piccole da poter interagire con singole cellule. Nella puntata precedente abbiamo visto che oggi i ricercatori riescono a costruire ingranaggi microscopici e a metterli in moto. Ci domandiamo: è possibile a questo punto realizzare veri e propri robot microscopici? Diciamo subito che al momento siamo parecchio lontani. A mancare, nella cassetta degli attrezzi dei ricercatori, non sono braccia e gambe miniaturizzate, ma sensori e sistemi per processare i segnali di dimensioni analoghe, senza i quali i nostri ipotetici robot risulterebbero privi di cervello. Continuiamo a parlarne con Roberto di Leonardo, professore di fisica sperimentale della materia al Dipartimento di Fisica dell’Università della Sapienza di Roma.
Inventato in Svezia il primo “motore” capace di mettere in moto ingranaggi più piccoli dello spessore di un capello. Da qualche tempo disponiamo delle tecnologie per realizzare ingranaggi e parti meccaniche piccolissime, con cui, in teoria, si potrebbe dar vita a micro-macchine così piccole da poter interagire con singole cellule. Finora, tuttavia, nessuno aveva ancora inventato un “motore meccanico” delle stesse dimensioni. La risposta sembra ora arrivare da un team di ricercatori svedesi, che hanno realizzato una speciale ruota dentata di dimensioni microscopiche, in grado di ruotare quando viene illuminata. Ne parliamo con Roberto di Leonardo, professore di fisica sperimentale della materia al Dipartimento di Fisica dell’Università della Sapienza di Roma.
Sistemi di monitoraggio dei macchinari industriali capaci di predire guasti e anomalie negli impianti produttivi; sistemi di knowledge management, come i chatbot dedicati al supporto clienti o ai manutentori sul campo; software che aiutano le risorse umane nella scrematura dei candidati sulla base dei curricula. Sono tra le applicazioni dell’Intelligenza Artificiale più gettonate dalle imprese secondo quanto emerso nel corso del Festival delle Città Impresa, a Bergamo la settimana scorsa. Sentiamo Roberto Sala - ricercatore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, dell'Informazione e della Produzione dell’Università degli Studi di Bergamo - intervistato al Festival da Silvia Bandelloni.
I record, nel campo delle telecomunicazioni, sono sempre destinati a durare poco, e talvolta hanno il valore di semplici curiosità. Ma fa un certo effetto il risultato ottenuto allo University College di London, dove con un singolo apparato trasmettitore, che potrebbe essere usato in futuro per la telefonia 6G, sono riusciti a trasmettere dati in modalità wireless a 938 Gigabits per secondo; quasi 10.000 volte la velocità di una attuale connessione 5G e più o meno l’equivalente di una 20 di film in un secondo. Velocità così elevate sono perfino inutili in situazioni normali, ma avrebbero senso in contesti molto affollati come le stazioni, gli stadi, i concerti, quando la banda disponibile viene suddivisa tra troppi utenti e le prestazioni calano. Ne parliamo con Piero Castoldi, professore di Telecomunicazioni alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Direttore dell’istituto TeCIP.
Ha un design unico al mondo la protesi di piede messa a punto dai ricercatori dell’IIT di Genova, in collaborazione con il Centro E. Piaggio e l’Università di Pisa. Parliamo di un capolavoro di meccanica, in grado di riprodurre con straordinaria accuratezza i movimenti naturali del piede senza alcun meccanismo attivo. Nessun motore per questo piede flessibile, del tutto indifferente all’acqua e del peso di soli 450 grammi, chiamato SoftFoot Pro. La protesi è stata testata da numerosi pazienti a Genova, ad Hannover e a Vienna, grazie alla collaborazione con vari istituti di ricerca medica. A raccontarlo, Manuel Giuseppe Catalano, ricercatore dell’IIT del laboratorio di soft.bots.
Circuiti elettronici flessibili e biocompatibili, spessi meno di un millesimo di millimetro e collocabili su ogni tipo di superficie, indipendentemente da forma, consistenza e presenza di irregolarità. Questo l’obiettivo del progetto SKIN2DTRONICS, che si è visto assegnare un ERC Synergy grant da 10 milioni di Euro. Il progetto tenterà di sviluppare un microchip grande quanto un francobollo, flessibile e biocompatibile, che possa essere inserito nel corpo di un paziente per monitorare la recrudescenza di tumori particolarmente aggressivi, come il glioblastoma, che colpisce il cervello. Solo un esempio del vastissimo ventaglio di nuovi orizzonti che lo sviluppo dell’elettronica flessibile sta cercando di aprire. Ce ne parla Gianluca Fiori, professore del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa.
130 paesi, 11 mila espositori e 25 mila visitatori: sono i numeri dello Smart City Expo World Congress, che si è svolto la scorsa settimana a Barcellona e che negli anni si è posizionato come il più importante appuntamento annuale per fare il punto sui progetti di smart city in tutto il mondo. In questa edizione ci si è posti fortemente il problema di come non lasciare indietro fasce di popolazione dal processo di digitalizzazione che investe molti servizi e che è intrinseco al concetto stesso di smart city: insomma, il panorama tecnologico è ormai consolidato, ma su come calare le tecnologie nella vita dei cittadini c’è ancora bisogno di fare chiarezza. Ne parliamo con Monica Lucarelli, Assessora alle Attività Produttive e alle Pari Opportunità del comune di Roma.
Nessun filo, nessuna connessione elettrica: solo alcuni piccoli magneti impiantati nei muscoli dell’avambraccio per controllare i movimenti delle dita di una mano robotica, restituendo a chi la indossa la capacità di riprodurre i movimenti pensati dosando la forza. Daniel - questo il nome del primo paziente - ne è entusiasta e ora l'Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che l’ha messa a punto, si prepara a una sperimentazione più ampia. Il sistema offre moltissimi vantaggi: poiché i muscoli con cui il paziente muove la mano robotica sono gli stessi con cui muoveva la sua, è molto intuitivo; i magneti sono sicuri e non hanno bisogno di essere alimentati dall’esterno per funzionare. Ce lo racconta Christian Cipriani, professore di Bioingegneria all’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Circa un terzo delle bioplastiche non arriva mai agli impianti di compostaggio. Ma c’è anche una quota di bioplastiche che ci arriva ma viene ugualmente scartata e avviata all’incenerimento o alla discarica: si tratta in media del 17% delle bioplastiche raccolte, con picchi del 50% in alcune regioni. Secondo un’analisi effettuata dall’Università di Tor vergata, questi numeri non si spiegano se non con delle inefficienze nei cicli di compostaggio, come temperature o tempi di maturazione insufficienti, o processi inadeguati ancora presenti in molti impianti. Ne parliamo con Francesco Lombardi, professore di Ingegneria Sanitaria e Ambientale e Gestione Integrata dei rifiuti e Tecnologie di Trattamento e Smaltimento, del Dipartimento di Ingegneria Civile e Informatica dell'Università Tor Vergata di Roma.
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